“La linea”: un libro-racconto scritto dal nostro Moreno Castelli
Moreno Castelli, nostro volontario e già presidente dell’associazione, ha scritto e pubblicato un libro (“ La linea”, Nolica Edizioni, 16 euro) che vede sullo sfondo la città di Milano e in particolare il quartiere di San Siro, dove Alfabeti agisce. Un territorio complesso e dalle mille sfaccettature. La nostra storica volontaria Bianca Bottero ne ha scritto una presentazione che volentieri pubblichiamo.
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Moreno Castelli, La linea, Nolica Edizioni, Forlì, 2023
Credo di aver proposto a Moreno di scrivere sul suo libro soprattutto per la curiosità di chiarire, prima di tutto a me stessa, perché il suo testo mi aveva così intrigato, divertito e anche emozionato.
Nel libro ci troviamo di fronte a un sistema dove sentimenti, azioni e personaggi si sovrappongono seguendo una trama apparentemente semplice, che l’io narrante descrive con un linguaggio minuzioso e impassibile. Ne emergono tuttavia le situazioni più intimamente oscure, inquiete, i sentimenti più incerti; e insieme sfilano davanti a noi figure e paesaggi: la Milano della periferia, il quadrilatero di case popolari a San Siro, ma anche il centro, San Babila e altri luoghi. È una sorta di pellicola, neorealista e insieme favolosa, che mi ha ricordato Miracolo a Milano di Cesare Zavattini. Così come realisti e insieme favolosi sono gli elementi e gli attori di questo paesaggio: le gambe della donna sfrattata che pendono minacciose da una finestra, l’odore dolciastro della carne macellata dal padre , la madre che sorride appena, provando i suoi primi orecchini, i ragazzi del quartiere seduti sugli schienali delle panchine o rombanti sulle motorette, la donna che al supermercato infila cauta le bustine di zafferano nella tasca, la ragazza che suona sotto il portico, i bambini irridenti e sconcertati impiastricciati di vernici…
Nel racconto si narra di una famiglia di umile origine, madre padre e tre figli, che passa da una condizione di quasi indigenza a una di discreto benessere. I genitori e i due ragazzi maggiori accolgono questa ascesa economica come una fortuna della quale non indagano i risvolti sociali o politici – il padre soprattutto che li ignora consapevolmente – ma alla quale anzi si adeguano con un atteggiamento gretto, pur nella bontà della loro indole. E’ in parte un istinto di sopravvivenza dovuto alla passata condizione di povertà, un istinto che proverà anche il figlio più piccolo, Jacopo, la voce narrante del libro: ma in lui questo sentimento, che lo accompagnerà tra continue risse e incomprensioni coi compagni di scuola lungo tutto il corso dei suoi studi e determinerà anche per due anni il suo primo impiego in Banca (orgoglio della famiglia) sarà sempre legato alla ricerca di qualcosa di più bello e di più vero che quasi inconsciamente insegue disegnando.
Il trauma drammatico dell’insonnia che improvvisamente lo colpisce, lo porta però all’abbandono del lavoro in Banca e al profondo dissidio coi genitori. Segue per lui il quasi completo abbrutimento fisico, con il consumo di tutti i risparmi e la necessità di ricorrere al dormitorio pubblico e alla mensa dei poveri. Non riesce neppure più a disegnare.
Sarà solo con la scelta abbastanza casuale di un lavoro notturno in un supermercato, tra persone umilissime, che il ragazzo sembra ritrovarsi, guidato da una sorta di interna, caparbia capacità di resistenza. Una resistenza contro il denaro e la sua forza, che ha reso cattivi e bulli i suoi compagni di scuola, che ha corrotto la sua famiglia, snaturato la Banca in cui lavorava, ucciso la sua amica più cara.
Jacopo troverà infine il mezzo e la finalità della propria ricerca nell’arte, l’arte della pittura della quale diventerà maestro. Siamo ora in un contesto favoloso, popolato di figure insieme realistiche e simboliche che rappresentano ognuna quei pezzi di verità che Jacopo va cercando: l’amica Silvia che si consuma nell’inseguire uno sogno nella musica, Pancho e Milo che generosamente lo affiancano nelle clamorose denunce dipinte sui muri della città e soprattutto Elide, l’anziana donna che è stata azzoppata da una mina in Vietnam dove documentava le atrocità della guerra, e che ha creato il luogo, il Fortino nel quale tutti loro sono accolti: un edificio lasciato in abbandono nel quadrilatero di San Siro, tra le case popolari che Jacopo conosce bene per averci abitato da bambino quando erano tempi duri per la sua famiglia e che suo padre non vuole neppure più nominare.
Diventato famoso coi suoi murales, Jacopo finanzia l’acquisto del Fortino che il proprietario pubblico vuole vendere, ma assume un nome fittizio mantenendo l’incognito. Anche al padre, che riappare, nega quasi crudelmente di essere lui il pittore che ha fatto carriera e tanto denaro. Continua a vivere nel quartiere e insegna a dipingere ai derelitti bambini che ci abitano. Elide gli consegna una melanconica appena sussurrata speranza.
Bianca Bottero