Il più giovane viene dal Mali e ha 18 anni, nero come il carbone con due grandi occhi rotondi: Maiga potrebbe venire benissimo dal Congo; il più anziano (si fa per dire) si chiama Mohammed, è curdo, ha 45 anni e viene da Mosul. Sono 9 i rifugiati che alloggiano al campo profughi di via Corelli e che il Comune di Milano ha deciso di mandare da noi ad Alfabeti per un veloce corso iniziale di italiano che poi proseguirà, lungo l’estate, in altre scuole popolari. Quando sono arrivati la prima volta, tutti su un pulmino, prima di iniziare la lezione li ho voluti conoscere, un po’ per sciogliere il ghiaccio, un po’ per il canonico appello (prima frase: “fare l’appello, cosa vuol dire in italiano fare l’appello?”…). Conoscerli, chiedere nome e provenienza, il loro mestiere, è stato come immergersi in un viaggio geo-politico dall’Africa nera al Medio Oriente. E vedere passare sotto gli occhi le località e le situazioni che ogni giorno le tv, i tg e la stampa ti sgranano davanti.
Rabar ha 36 anni e, come Mohammed, anche lui è curdo e viene da Mosul dove aveva un minimarket. Ma Mosul quella in Iraq dove Al Baghdadi un anno fa si è autoproclamato Califfo? Proprio quella. E tu sai che è meglio non chiedergli perché lui e Mohammed, che vendeva animali, se ne sono andati via. Così come l’altro curdo-iraqueno Fuad che a 25 anni è scappato da Kirkuk. E i tre siriani, Aldebs che ha 37 anni, Alkojouk di 28 e Ahmed di 23 che sono fuggiti due da Damasco e uno da Derzor, nel Nord, caduta in mano all’Isis. Anche Maiga, che viene da una città nel Nord del Mali, è forse sfuggito da bande di fanatici islamici che lì stanno spadroneggiando. Come i signori della guerra stanno spadroneggiando in Somalia, da cui è venuto via Abdullah con i suoi 32 anni che sembrano 22 e che qualche parola di italiano la conosce perché, mi spiega, “una volta c’eravate voi italiani in Somalia”…. E infine c’è Samir, che ha lasciato il suo campo di profughi palestinesi in Libano: 26 anni passati in un campo.
Li guardo e vorrei sapere tutto, che cosa è successo nelle loro vite, se hanno ancora una famiglia, ma una forma di rispetto della privacy e del dolore mi ferma. Forse è meglio non chiedere, forse è meglio sorridere e prendere il gesso in mano.
Ok ragazzi, sapete come si chiama questa cosa nera in italiano? Si chiama “lavagna”. Chi viene alla lavagna?…
Gianni Pianetta