La sera di venerdì 17 gennaio nella sede di Alfabeti abbiamo avuto il piacere di ospitare l’avvocato Elisabetta Cimoli che fa parte del settore legale della Caritas ambrosiana (offrono gratuitamente assistenza e consulenza legale agli immigrati oltre all’orientamento al lavoro) e che era stata da noi invitata per un inquadramento dal punto di vista legale delle normative nel nostro Paese rispetto all’immigrazione. Eravamo oltre una ventina di insegnati volontari e anche qualcuno dei nostri studenti.
L’avvocato Cimoli ci ha spiegato che la prima legge che metteva mano alla normativa per ottenere la cittadinanza italiana risale all’ormai “preistorico” 1992 e che fu ispirata dall’allora ministro della Giustizia Claudio Martelli (Psi), ma nata in un’epoca ovviamente totalmente diversa dai mutamenti sociali ed internazionali poi intervenuti.
Si arriva così alla legge Napolitano-Turco, varata nel 1998, e che per la prima volta prende decisamente in considerazione il crescente fenomeno dell’immigrazione verso l’Italia. E’ in questo periodo che la Comunità europea dà indicazioni che però, per sua stessa direttiva, potranno e dovranno essere rielaborate dai singoli Stati aderenti. E’ così che giungiamo al 2002 quando, col Governo Berlusconi, viene varato il Testo Unico (T.U.) definito Legge Bossi-Fini dal nome dei due politici che la elaborarono e firmarono. E’ con la Bossi-Fini che arriva il famigerato decreto “flussi”, un provvedimento complicato e farraginoso che prevede che una volta all’anno, nella data del 30 novembre, il Governo emani un decreto che stabilisca la quota di immigrati che possono entrare nel nostro Paese con un permesso temporaneo di soggiorno. Le modalità sono estremamente irrazionali, perché prevedono che lo straniero che trova lavoro in Italia rientri nel suo Paese dove attenderà la chiamata del datore di lavoro italiano attraverso il locale consolato: un sistema farraginoso e contorto che, come spesso succede alle leggi italiane, non tiene conto della realtà e che sembra fatto apposta per disincentivare l’entrata di cittadini stranieri in Italia. E’ bene ricordare che questa legge prevede come anche il visto turistico a uno straniero diventi del tutto discrezionale da parte dell’autorità italiana.
L’avvocato Cimoli ha poi sottolineato come, in seguito a questa legge che fa acqua da tutte le parti, si è dovuti ricorrere allo strumento della sanatoria che dovrebbe essere un atto straordinario, ma che di fatto ha finito per regolarizzare l’80 % della nostra immigrazione. Nell’arco di tre anni (2009 e 2012) si è dovuti ricorrere a ben due sanatorie per regolarizzare i numerosi clandestini ma anche i permessi di soggiorno scaduti. La regolarizzazione va fatta in prefettura dove viene dato il permesso per un anno oppure per due nel caso in cui sia assicurata per il lavoratore immigrato la prosecuzione dell’attività lavorativa per almeno due anni (nell’ultima tornata, su 135 mila domande presentate ne sono state sanate 75 mila).
E’ nel 2009 che viene varato un ulteriore “pacchetto sicurezza” che all’articolo 10 bis conferma il concetto di reato penale per chi entra in Italia senza visto turistico o un permesso di soggiorno: l’entrata illegale dell’immigrato prevede la denuncia penale, la segnalazione sulla fedina penale, anche se viene tolto l’arresto e ci si limita a una condanna pecuniaria. Dal punto di vista concreto, il decreto espulsioni non viene quasi mai eseguito anche se previsto dalla legge: di fatto si attua solo per le persone davvero pericolose e questo sia per la difficoltà di organizzare un servizio espulsioni (cosa che invece la Germania pratica consistentemente) sia per i costi che ciò comporterebbe per lo Stato.
L’avvocato Cimoli ha poi parlato della possibilità della regolarizzazione attraverso la pratica del ricongiungimento famigliare (la cosiddetta “coesione famigliare”).
Sul versante invece della richiesta d’asilo politico (in termine legale “Protezione internazionale”) è solo dal 2008 che la richiesta dell’immigrato è stata unificata presso le questure o i commissariati che dovranno investire le apposite commissioni (questi immigrati, in attesa di responso, vengono trasferiti negli appositi CARA, Centri per richiedenti asilo); sarà poi il ministero degli Interni a concedere l’apposito permesso di soggiorno e, se negato, viene prevista la possibilità di ricorso presso i Tribunali cui spetta l’ultima parola.
Infine, è stato ricordato come la richiesta di cittadinanza, per la legge, possa essere presentata solo dopo 10 anni continui di permessi di soggiorno.
Da ultimo, l’avvocato ha tenuto a ricordare che, anche in caso di immigrati clandestini, la legge (Testo Unico) garantisce l’assistenza sanitaria in caso di emergenza: nei Pronto Soccorso allo straniero indigente deve essere assicurato un apposito codice (S.T.P.), mentre i medici coinvolti nell’assistenza (nonostante i tentativi iniziali in senso contrario) non sono tenuti a segnalare all’autorità di P.S. la presenza dell’immigrato clandestino. Ugualmente viene garantito al minore clandestino il diritto allo studio senza che l’autorità scolastica debba procedere alla denuncia. La serata si è poi conclusa con una serie di domande riìvolte all’avvocato Elisabetta Cimoli che ha risposto con una chiarezza davvero rara e una grande disponibilità cui va la nostra totale gratitudine.
Per ogni delucidazione ci si può comunque rivolgere al S.A.I. (Servizio Assistenza Legale) nel sito della Caritas ambrosiana.