Che cosa significa insegnare italiano a chi non lo sa?
Una serie di racconti dei nostri volontari prova a spiegarlo.
Ecco a voi quello di Alessandro Bertoli. Buona lettura!
Luca ha lasciato l’ufficio prima del solito, oggi non ha tempo per fare anche gli straordinari. Entra in casa dopo aver salito le scale del suo palazzo correndo, ed entra solamente per posare la borsa con il computer portatile e prendere le chiavi del lucchetto. Poi nuovamente le scale a tutta velocità per scendere nel cortile del condominio dove la bicicletta lo attende.
Pedala rapido per le vie secondarie della città, comunque trafficate dalle auto, ma meno caotiche della circonvallazione cittadina. Lungo la strada pensa all’ultima riunione fatta per telefono, con il suo responsabile e un collega.
Il capo di Luca è scozzese, mentre il collega è tedesco. L’azienda in cui lavora è una multinazionale e quindi è multietnica, distribuita tra diversi paesi. Lavorano insieme tutti i giorni ma si incontrano solo qualche volta l’anno. Luca parla un inglese discreto, perfezionato durante alcune vacanze studio in Irlanda, ma parlare al telefono con uno scozzese richiede una padronanza della lingua maggiore. Il suo capo si mangia le parole e usa spesso termini incomprensibili. Luca ancora si domanda a quali affermazioni ha risposto con sicurezza: “yes… no problem”. Mentre è fermo a un incrocio, immagina una scusa per chiamare domani il collega tedesco, sempre così preciso nel prendere appunti, e farsi aiutare per riscostruire il discorso del capo.
Luca riprende a pedalare e supera diverse auto ferme ai semafori, poi schiva alcuni pedoni sui marciapiedi e in pochi minuti arriva nel quartiere di S.Siro.
Lo scenario urbano cambia nell’arco di pochi metri. Milano, nelle sue zone periferiche è invasa da casermoni anni ’60, ma quando si entra nella zona delle case popolari, si percepisce che sei in un ambiente differente.
Via Abbiati è stretta, chiusa tra due lunghe file di palazzi popolari, pasticciati da scritte di vernice spray. I marciapiedi sono usati come parcheggi per auto e furgoni, non c’è verde e neppure arredo urbano. In un angolo vicino a un cancello sono accumulati elettrodomestici scassati e mobili vecchi. Donne con il velo islamico camminano insieme a bambini che corrono e schiamazzano.
Ai piedi dell’ultimo caseggiato, dove nella mente degli architetti avrebbe dovuto esserci un piccolo negozio di quartiere, oggi c’è una scuola per immigrati. Da due anni Luca è un volontario e insegna l’italiano e per stasera ha dato la disponibilità a gestire le iscrizioni degli studenti.
Luca lega la bici alla ringhiera del palazzo e guarda l’orologio con soddisfazione, ha solo qualche minuto di ritardo.
La saracinesca della scuola è già alzata e di fronte ci sono dei ragazzi, probabilmente tutti nordafricani, che attendono di entrare. Luca sorride ai ragazzi ed entra.
Lucia, un’altra volontaria dell’associazione, è davanti la fotocopiatrice:
- Ciao Lucia, è molto che sei qui?
- Luca! Per fortuna che sei arrivato, oggi abbiamo la coda. Sono arrivata un po’ prima per fare le copie dei moduli, ieri erano finiti. Ne ho lasciati alcuni sul tavolo anche per te.
Luca ha già aiutato nelle procedure d’iscrizione e sa come gestire questa formalità. Si siede a uno dei tavoli, dove di fronte ha sistemato due sedie e si organizza: moduli, fogli con le domande di prova, tessere d’iscrizione e cassetta per i soldi.
Lucia si affaccia sulla strada e con gentilezza invita i primi arrivati a venire dentro. Entrano un uomo e un ragazzo. Lucia invita l’uomo a sedersi al tavolo con lei mentre a Luca tocca il ragazzo: alto e magro, capelli folti e neri, indossa una maglietta, jeans attillati e ciabatte. Infila il telefonino in tasca e si siede guardando Luca.
Luca è infastidito dall’abitudine di molti immigrati nordafricani di uscire in strada in ciabatte. Non sa darsi una spiegazione ma non gli piace. Ha però imparato a contenere questo suo pregiudizio.
Gli sorride e lo accoglie porgendogli la mano:
- Ciao, io sono Luca, piacere
- Ciao, piacere
Seguono le domande di rito che fanno sentire Luca un impiegato dell’anagrafe, ma più paziente e incline al sorriso.
“Da dove vieni? Quanti anni hai? Da quanto tempo sei qui…“
Il giovane marocchino è a Milano da due anni, è introverso, parla poco e piano ma discretamente bene e utilizza correttamente i verbi al passato e al futuro. Vuole migliorare il suo italiano, soprattutto nella scrittura.
“Iscrizione facile” pensa Luca, senza dubbio può andare nella classe più avanzata. Luca ritira i soldi dell’iscrizione e consegna un libro e la tessera della scuola, poi lo congeda:
- Le lezioni iniziano martedì, ti aspettiamo alle 19.00, puntuale!
- Va bene, grazie. Risponde il marocchino, accennando finalmente un sorriso.
Dopo il giovane marocchino entrano tre adolescenti e tutto cambia. I ragazzi sghignazzano, parlando tra loro in arabo. Due si siedono e il terzo resta in piedi dietro di loro.
Uno dei due seduti, indicando l’altro dice:
- Mio amico vuole fare iscrizione
Poi ride ancora.
Luca resta calmo, l’anno precedente un gruppo di adolescenti egiziani frequentava la classe in cui lui insegnava e quindi conosce la situazione. Luca ricorda anche quando era lui l’adolescente, quando in gruppo con gli amici si vinceva l’insicurezza con stupidità o maleducazione. Non c’è motivo per cui degli adolescenti egiziani debbano essere differenti.
Guarda negli occhi il ragazzo e chiede
- Ciao, io sono Luca, come ti chiami?
- Lui è Ibrahim. Afferma il ragazzo in piedi
- Grazie, ma l’ho chiesto a lui, per favore puoi lasciarlo rispondere?
- No, lui no parla italiano, è qui da poco
- Per favore, lasciarlo parlare.
Luca ci riprova.
- Ciao, come ti chiami?
Senza guardarlo negli occhi il ragazzo risponde dicendo il suo nome a denti stretti.
- Bene Ibrahim, quanti anni hai?
Mentre pone la domanda, fulmina con gli occhi i due amici, che comprendono che non devono azzardarsi a parlare. Ibrahim però non risponde, accenna un sorriso e fa no con la testa.
- Sei egiziano?
Ibrahim sorride ancora e scuote la testa. Non sa rispondere.
-Lui diciassette anni, è arrivato da una settimana, no parla italiano. Afferma il ragazzo in piedi.
Luca comprende la situazione, è inutile fare le domande di rito, il ragazzo deve partire dal livello più basso. Per registrarlo chiede se hanno un documento. Il giovane estrae dal portafogli una fotocopia del passaporto e Luca con pazienza copia i dati, compila la tessera, ritira i soldi d’iscrizione e poi spiega che da settimana prossima Ibrahim avrà lezione, Lunedì e Mercoledì alle 19:00. Gli amici di Ibrahim ringraziano Luca e ridacchiando tra di loro vanno via.
Luca ripone l’iscrizione nella cartelletta e pensa: “Buona fortuna Ibrahim”.
Dopo Ibrahim, entra un altro egiziano, Mustafa.
Mustafa è alto e ha una corporatura robusta. Il volto ha parecchi difetti e sorride mostrando i denti storti:
- Ciao, voglio fare scuola. Io parlo italiano ma voglio parlare meglio e scrivere.
- Bravo! Quanti anni hai?
- Io 28 anni, 3 anni sono in Italia
- Lavori?
Con orgoglio, e senza smettere di sorridere Mustafa risponde:
- Sì, io lavorare a mercato: Via Zamagna al Lunedì, piazza Lagosta Martedì, a Baggio…
Luca lo interrompe – Va bene Mustafa, non mi servono i turni. Senti, parli altre lingue oltre l’arabo?
- Io parlo arabo, italiano e giargianese [1]
Luca confuso fissa Mustafa che divertito continua.
- Sì, quelli del mercato dicono io parlo giargianese!
Luca spalanca gli occhi e prova a immaginare la scena: ambulanti e clienti del mercato che ogni settimana vedono Mustafa lavorare sodo, ma sempre con il sorriso in volto. Non si lamenta e cerca di usare il suo italiano, imparato tra i banchi delle verdure. “Uè giargianess” gli avrà detto qualche signore anziano, uno di quegli anziani milanesi che se ti vede lavorare con dedizione ti rispetta, e non si preoccupa di che colore hai la pelle, perchè il sudore del lavoro è uguale per tutti. Luca pensa che Mustafa abbia fortuna, si è ritagliato uno spazio nella vita della città.
- Gargianese nella scheda non lo mettiamo, ok?
- Sì sì, va bene. Quando inizia scuola?
Dopo Mustafa seguono altri tre ragazzi: ancora due egiziani e poi un nigeriano. Apparentemente nulla di particolare e Luca dimentica i nomi, così complicati per lui. A volte gli sembrano tutti uguali, sebbene ciascuno di loro abbia una storia da raccontare.
La lista degli iscritti cresce rapidamente e le classi si riempiono.
Lucia si avvicina a Luca:
- Luca, guarda che le classi intermedie non hanno più posti, non prendere altre iscrizioni e apriamo la lista di attesa.
Anche quest’anno la scuola non riesce a soddisfare tutte le richieste e gli iscritti alla lista dovranno attendere. I posti nelle classi si liberano per motivi diversi: studenti cambiano città, chi trova lavoro e deve svegliarsi all’alba o chi si scoraggia. Sebbene tutti siano motivati, molti non riescono a frequentare con costanza. Per un adulto rimettersi a studiare è una sfida ovunque ti trovi ed è ancora più difficile se sei un immigrato.
Proprio lo studente successivo andrebbe inserito in una classe intermedia. E’ un uomo peruviano di nome Emilio.
- Senti Emilio, tu dovresti stare in una classe intermedia, ma purtroppo è già piena. Lasciaci il tuo numero di telefono e ti richiamiamo appena si libera un posto.
Emilio perde la vitalità sudamericana con cui aveva risposto alle domande d’iscrizione:
- Devo aspettare muelto? A me serve ablar meglio italiano, serve per el lavoro!
Luca è tentato da iscrivere Emilio ugualmente, far finta di niente e fare uno strappo alle regole che la scuola si è data. Un’eccezione per aiutare Emilio significherebbe però rendere meno efficaci le lezioni per chi si è già iscritto, per non parlare della confusione che si crea quando la scuola è colma di studenti. Luca in queste situazioni ci è già passato e preferisce non forzare la mano.
- Emilio, sei il primo della lista, vedrai che presto ti chiamiamo, non preoccuparti!
In strada si sono accesi i lampioni, sta diventando buio e non ci sono più ragazzi in attesa di entrare. Lucia è impegnata a iscrivere una ragazza dai lineamenti orientali e nella stanza non c’è nessun altro.
Luca sente la stanchezza accumulata durante la giornata, si alza e va a vedere in strada. La bicicletta è ancora li.
Sta pensando che è ora di tornare a casa ma un altro giovane nordafricano si presenta alla scuola:
- Ciao, scuola aberta?
Luca istintivamente sta per rispondere che la scuola è chiusa e che può passare domani. Poi osserva il ragazzo: carnagione scura e lineamenti marcati, capelli ricci e un sorriso sincero. Veste una camicia a fiori, jeans e scarpe da tennis.
“Almeno non è in ciabatte” pensa Luca.
- Dai vieni, tu sei l’ultimo oggi.
L’ultimo giro di domande Luca le pone cercando di essere gentile e coinvolgente come con tutti gli altri, sebbene ora sia molto stanco. Quest’ultima iscrizione è per Reda, un altro marocchino.
Proprio con Reda, Luca è indeciso su quale classe assegnare. Comprende molte domande ma risponde a stento. Conosce già diversi vocaboli, ma con la scrittura è un disastro. E’ troppo bravo per un corso base, ma nella classe intermedia non c’è più posto.
- Passiamo ai numeri. Afferma Luca.
Mostra a Reda un foglio, dove sono stampati diversi numeri e riflette: “Se non sa leggere i numeri è da corso base, altrimenti lista di attesa”.
Con l’indice indica dei numeri e Reda prova a pronunciarli. Pronuncia con facilità le cifre fino al dieci, poi con un po’ di fatica riesce comunque a leggere anche i numeri successivi. Quando pronuncia 16, lo dice particolarmente bene e con entusiasmo.
- 16, mio numero!
- Il tuo numero? Perché?
- Quando arrivato, nave caduta in mare. Quando svegliato io 16.
- Svegliato dove?
- Ospedale, Sicilia. Su bracio 16, adesso mio nome e numero.
Un brivido percorre la schiena di Luca. Questo ragazzo, con leggerezza e sorridendo gli sta raccontando che ha attraversando il Mediterraneo e che il barcone è affondato. Deve aver perso conoscenza e rischiato di annegare. I soccorritori però arrivano in tempo e lo salvano, trasportandolo in un ospedale o forse un centro di prima accoglienza. Identificare i dispersi in mare non è semplice, come primo passo gli è stato quindi scritto con un pennarello un numero sul braccio. Reda era il numero 16. Quello è la prima cosa che ha visto quando si è risvegliato, comprendendo che l’incubo del viaggio era finito e lui era vivo. Il suo numero fortunato, il suo primo nome in Italia.
Reda è sorridente davanti a Luca, con l’indice che ancora segna l’avambraccio dove era stato scritto 16.
Luca ha bisogno di qualche istate prima di poter riprendere a parlare.
- Reda, sei un ragazzo forte lo sai? Ti metto nella classe intermedia!
Luca compila la tessera e spiega a Reda cosa fare:
- Settimana prossima inizia la scuola. Vieni Martedì e Giovedì alle 19:00. Quando arrivi, fai vedere la tessera e ti dicono con quale volontario andare.
Reda osserva la tesserina, la numero 97.
- Nove sette, va bene uguale. Dice ridendo.
Poi ringrazia e stringe la mano a Luca prima di uscire.
Luca si rivolge a Lucia:
- Lucia a che punto sei?
- Ho finito, contiamo le schede, controlliamo che i soldi ci sono tutti e possiamo andare.
Luca prende anche le schede compilate da Lucia e inizia a contarle, ma arrivato all’ultima e si blocca a fissare il plico di fogli. Quella sera hanno iscritto proprio sedici studenti e Reda è l’ultimo. Ancora una volta il suo numero.
“Buona fortuna anche a te, 16!”.
Luca e Lucia chiudono la scuola e si salutano. Domani altri volontari torneranno e le iscrizioni continueranno. La serata è piacevole, a Settembre c’è un buon clima a Milano. Luca è rilassato, in bicicletta rientra a casa pensando al giargianese e a 16, storie divertenti e altre drammatiche. Lui li ha accolti alla scuola d’italiano e loro con poche parole gli hanno svelato un mondo che altrimenti non avrebbe mai visto.
[1] In dialetto milanese “giargianess” è il forestiero, chi parla una lingua non comprensibile. Giargianese è la versione italianizzata del termine.