La formazione ad Alfabeti, il punto di vista di Mara
Ad Alfabeti, venerdì scorso (28/11/2015) siamo tutti pronti per il corso di formazione rivolto ai volontari.
Le aspettative riguardo ai contenuti del corso non c’erano: era un pacco sorpresa, quindi… ho solo scambiato qualche domanda con i miei “vicini di banco” i quali non sapevano nulla, esattamente come me di quello che sarebbe successo 🙂
Abbiamo partecipato a una lezione di lingua fiamminga, tenuta dalla volontaria Nadia, la quale non ha detto una sola parola in italiano per quasi un’ora.
Scopo dell’esperienza: far provare sulla nostra pelle tutte le difficoltà che i nostri studenti sperimentano quando vengono a lezione.
Di cosa ci siamo resi conto? Beh, di molte cose, e di tutte faremo tesoro:
1) È inutile riempire la testa dei nostri studenti con 1000 cose, meglio concentrarci su obiettivi precisi e ben definiti in ogni lezione. Nadia dice al massimo 7 parole nuove ogni volta. -> Ehm… credo che noi tutti sforiamo un tantino! 🙂
2) Sarebbe utile usare sempre e solo la lingua oggetto (nel nostro caso l’italiano) invece di aggrapparci all’inglese come se fosse l’ultima ancora di salvezza. -> E anche qui…. mea culpa! 🙂
3) Incoraggiare sempre gli studenti quando fanno bene… -> Ok, forse su questo ci siamo!
4) Utilizzare giochi (anche di movimento) ogni volta possibile. Giocare fa bene, anche ai “grandoni” e aiuta sempre l’apprendimento. I giochi didattici sono milioni di milioni ma quelli davvero belli li conosciamo solo noi :-). ->Perchè non condividerli? Su una bacheca Padlet condivisa, per esempio: pensiamoci.
5) Quando il compito (linguistico) da svolgere potrebbe mandare in ansia lo studente, farlo lavorare in coppia o a gruppi. È più divertente per tutti, anche per l’insegnante. Si gode nel veder giocare studenti che magari non si sono guardati in faccia fino a quel momento! Bello vedere che si divertono e imparano allo stesso tempo!!
6) Diversificare le attività (orali, di movimento, di lettura) perchè ognuno di noi apprende in modo diverso e non è cosa buona favorire gli studenti che apprendono attravero il nostro stesso canale. Il mondo è bello perchè è vario: adeguiamoci a questa diversità anche quando facciamo lezione.
Conclusione: c’è tanto tanto da imparare ma anche noi siamo tanti e quindi ce la possiamo fare!
Nei panni degli studenti, il punto di vista di Moreno
Uno a uno arrivano i volontari e prendono posto scambiando quattro chiacchiere con il vicino di sedia. Lentamente si forma un cerchio ampio e chiassoso e tutti si chiedono come sarà questo corso “misterioso” di cui non si è potuto sapere nulla. L’insegnante non è ancora presente, ma poco importa, l’atmosfera è rilassata e amichevole, una buona occasione per rivedere amici che non incontriamo da un po’, oppure per fare amicizia con qualche nuovo volontario. All’improvviso, l’ultima arrivata si siede e saluta tutti: “Hallo” poi si gira verso un volontario e gli chiede: “Hallo. Ik ben Nadia. En jij?”
Ci guardiamo tutti un po’ spaesati, proiettati in una nuova prospettiva; all’improvviso diventiamo lo studente appena arrivato da un Paese lontano, che non conosce
nemmeno una parola della lingua che gli stanno insegnando.
Nadia (abbiamo capito che quello è il suo nome) ripropone a tutti poche domande, facendo il giro dei volontari e incoraggiandoli a porre le stesse domande al vicino, usando questa lingua strana, che scopriremo poi essere il fiammingo: “Ik ben niet Laura” “Wie ben ik?” “Ik ben Belgish. Ben ik Italiaans? Nee,…”
L’insegnante scandisce bene le parole, corregge la nostra pronuncia, usa molto i gesti e la mimica, e piano piano intuiamo cosa ci sta dicendo, ma allo stesso tempo ci rendiamo conto dell’enorme difficoltà di apprendere anche pochissime parole di una lingua così diversa dalla nostra. Sbagliamo anche le frasi più semplici, ci sentiamo
impacciati, e la nostra goffaggine si trasforma in risate per gli altri, che non guastano.
Nella mia testa (ma credo anche in quella degli altri volontari) comincia a girare un pensiero che ci seguirà anche a casa: ma quante volte ho riversato fiumi di parole sui
miei poveri studenti senza verificare se davvero capivano? Quante volte ho dato per scontata la pronuncia di un suono? Quante volte ho davvero pensato una lezione,
mettendomi nei panni di chi mi stava di fronte?
Veniamo via da questo incontro con molte meno certezze sulla bontà del nostro insegnamento, ma tutti quanti ci rendiamo conto una volta di più dell’importanza di
ciò che facciamo e della necessità di non dare mai nulla per scontato, di approfondire, di preparare con scrupolo una lezione, perché insegnare significa stabilire un rapporto profondo con chi ti sta di fronte, prenderlo per mano e guidarlo un passo dopo l’altro.