Dopo due anni e mezzo di presidenza, per Moreno Castelli è tempo di bilanci. Ad Alfabeti dall’ottobre 2011 («merito di Radio Popolare, perché ascoltando Passatel mentre lavoravo ho scoperto che cercavano insegnanti»), è stato in carica dall’aprile del 2017 a questi giorni.
Moreno, nella lettera di saluto ai volontari scrivi che il buon momento per Alfabeti ti fa lasciare la carica tranquillo. Ci spieghi?
«I conti sono in ordine e così dovrebbero rimanere anche con l’acquisizione della nuova sede di via Abbiati, 1: una quarantina di metri quadrati che verranno pronti a febbraio, con copertura dei costi di ristrutturazione quasi interamente sostenuta da Aler. Poi, i proventi del 5X1000: una fonte che abbiamo usato con efficacia solo di recente. Circa 5000 euro entrati in cassa, tanto che da quest’anno abbiamo potuto regalare i libri agli studenti. Aggiungi le risorse che arriveranno da alcune collaborazioni con il quartiere, per esempio Play San Siro, per il coinvolgimento dei cittadini in attività sportive, o Caravansaray, un progetto teatrale, e ancora il Progetto Qubì contro la povertà infantile. Infine, Comunità solidali che punta al rafforzamento delle scuole d’italiano del quartiere».
Il legame con il territorio si è fatto più stretto.
«Siamo diventati più protagonisti, con una partecipazione assidua alla vita del quartiere, grazie alla Rete San Siro e al contatto con associazioni, cooperative, con altre scuole e con il Politecnico. Ne sono nate iniziative che hanno coinvolto la popolazione. Per esempio la riqualificazione della via, inaugurata questa primavera alla presenza del sindaco Sala: il primo patto di collaborazione stipulato dal Comune di Milano. Poi ne sono seguiti un’altra quarantina, ma noi siamo stati all’avanguardia».
Torniamo all’attività scolastica e ai suoi margini di miglioramento. Il primo punto nevralgico?
«La formazione. Altre scuole popolari sono più attive, ci insistono di più, anche se tutto questo ha un costo. Se il trend finanziario positivo continuasse, è lì che si dovrebbe investire. Insegnare è un talento naturale, ma lo si può sempre incrementare».
Il tuo consiglio ai neofiti?
«Parlare poco e far parlare gli studenti: un motto storico di Alfabeti dice che lo straniero deve sporcarsi le mani con la lingua. Se alla fine della lezione ti accorgi di aver detto più di loro, qualcosa non va. Comunica pochi concetti, ripetili continuamente, falli assorbire ».
Come avete lavorato sull’organizzazione dei corsi?
«La riforma dei tre trimestri, e dei quadrimestri per la Scuola Donne, sta permettendo di lavorare con più continuità. Per natura la frequenza ha un andamento a fisarmonica. Ma la possibilità di lavorare di tre mesi in tre mesi, con le nuove iscrizioni e l’iniezione di entusiasmo di chi è appena arrivato, dà grande energia a studenti e insegnanti. Ultimo arrivato, il progetto di doposcuola per i ragazzi che stiamo varando in queste settimane».
A fronte di tutto questo, la situazione esterna non incoraggia alla speranza. Hai notato un peggioramento, in questi due anni e mezzo?
«Eccome. Purtroppo è esperienza di tutti, basta prendere un autobus. Non è più soltanto difficoltà di accettazione: nei migranti del quartiere sento crescere la paura di essere cacciati. I politici, che dovrebbero essere responsabili, invece di tranquillizzare spaventano. E questo mi pare inaccettabile».
Che farai adesso?
«Continuerò a dare la mia disponibilità ad Alfabeti. E lavorerò ancora di più nel quartiere: a cominciare da un progetto di arte pubblica che curerò in prima persona, che durerà due anni e che prevede la realizzazione di tre murales».
Il momento che ti porti nel cuore?
«Le feste di Natale e di fine anno. Quell’entusiasmo ti ripaga di ogni difficoltà o incomprensione. Perché lì capisci che non hai solo insegnato l’italiano, ma che hai anche creato relazioni, favorito l’accoglienza».
Egle Santolini