L’idea del doposcuola è nata quasi per caso. Patrizia e Elena, due volontarie della scuola donne, riflettono su quanto possa essere problematico l’inserimento dei bambini stranieri, in particolare di quelli che arrivano a metà anno. Se è difficile per gli adulti, che il più delle volte fanno una scelta consapevole anche se obbligata, quanto può esserlo per un ragazzino di 10/11 anni che cambia paese, tradizioni e lingua senza essere nemmeno consultato? E se per un bambino alle elementari è sufficiente imparare a leggere, parlicchiare e far di conto, molto più complicata è la situazione alle medie, dove diventa molto più complicato anche il rapporto interpersonale all’interno del gruppo. Le famiglie sono confuse e spesso anche noi non abbiamo le risposte.
Dopo un incontro con la responsabile dei bambini stranieri della scuola Gaetano Negri è emerso che, come spesso accade, la scuola aveva enorme bisogno di una parte di supporto, ma i fondi erano limitati e insufficienti ad affrontare l’emergenza. Patrizia e Elena accettano coraggiosamente e da febbraio decidono di prendere un piccolo gruppo eterogeneo di studenti, con molte lacune dal punto di vista scolastico ma anche con alcune problematiche da quello personale. I volontari hanno risposto abbastanza bene, mettendosi in gioco e seguendo ognuno alcune materie.
All’inizio è stato abbastanza complicato adattarsi, sia per i ragazzi che per i volontari, soprattutto per un’età così complicata come il periodo di quella che viene definita pre-adolescenza. Ma dopo poco si è creata una strana magia, una sorta di piccolo mondo che univa ragazzi di diverse classi e diverse età lanciando un ponte positivo extra scolastico, dove molti mi hanno confessato, pregandomi di non dirlo a nessuno, che volevano partecipare a tutti i costi. C’è sempre un gruppo di “ragazzi terribili” e io vedo ancora le loro espressioni quando avrebbero avuto il bisogno di sfogarsi mentre li si riempiva di matematica. Il doposcuola si è presto trasformato in un momento di condivisione di storie, di difficoltà, di sfoghi a volte, come se cercassero un appoggio forte che desse loro delle risposte a problemi che a volte li avevano segnati profondamente e a lungo.
Da parte mia, con questi ragazzi si è creata una grande intesa e, nonostante qualche problematica inerente sicuramente alla novità della nostra presenza, hanno risposto molto bene, creando un gruppo unito e abbastanza collaborativo. Io li vorrei ringraziare, i miei ragazzi terribili, perché mi hanno insegnato dal punto di vista umano tanto quanto io ho insegnato a loro a scuola… e forse anche di più.
Sabrina Merola